L'Aikido è un'Arte Marziale ?

Aikido Kashin Roma
D.T. Roberto Martucci, 7° Dan Uisp-Do - 6° Dan Aikikai Tokyo
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L'Aikido è un'Arte Marziale ?

Aikido Roma Dojo Kashin
Pubblicato da P.Narciso in Letture · 25 Marzo 2018
Tags: aikidoartemarzialebenedetti
Posto un interessante articolo di Stephane Benedetti che risponde ad  una annosa domanda :"l'Aikido è un'arte marziale?" Lo stile della  risposta è volutamente ironico (cosa che non stupisce chi ha conosciuto  personalmente questo maestro) ma, non per questo, superficiale. Bisogna  leggere con attenzione...magari due volte. Buona lettura.



Barcellona - dic.2005
Non si dovrebbe mai scrivere, lo sapevo!  Un piccolo editoriale (qui sopra)…! Ed ecco! Bisogna che mi spieghi!  Che aggiunga qualcosa! Scriverò altre cose che creeranno il panico nei  forum… provocheranno un’embolia del curriculum vitae…Volevo solo fare un  favore… Scrivere delle cose risapute… Che Morihei Ueshiba abbia  insegnato prima della guerra la tecnica della baionetta alle Accademie  di Polizia, dell’esercito, all’Accademia Navale e alle scuole di  spionaggio, gotha del militarofascismo giapponese, non è un segreto per  nessuno… Che sempre lui abbia insegnato, dopo la guerra, che l’Aikido è  Amore, protezione della vita, gioia e pace universale nemmeno… che  l’Aikijutsu prima versione sia un’arte marziale, non ne dubito… Non sono  un complicato, Omotokyo, non ci capisco niente, quanto al Kotodama,  probabilmente è meglio che tenga le mie opinioni per me…

«Vivere da guerriero» (non fare la  guerra!) ha risvegliato i ricordi del maggio ‘68? Mai fatto la guerra?  Nessun rimpianto! Il mio vecchio Sam <1>, lui,  al servizio più o meno ufficiale di Sua Graziosa Maestà…, molti lavori, a  mani nude, alle Falkland e altrove…, non ha mai confuso l’Aiki con la  guerra… al contrario! Lui aveva i suoi fantasmi… Io no, Pace all’anima  sua! Ho visto, da poco, un reportage alla televisione sulla Legione  Straniera. C’era un Giapponese che era andato ad arruolarsi per fare la  guerra… Aveva ragione, la guerra, ci sono degli specialisti per questo,  veri, non giocano con delle spade di legno… Quel tipo voleva essere un  samurai dei tempi moderni, era partito dal Giappone diretto alla Legione  dai professionisti, non in un Dojo, aveva capito… Io non sono  violentemente pacifista, ma non amo la guerra. Sono d’accordo con Sun  Tzu «Il migliore generale non ha bisogno di fare la guerra». E ammiro un  solo militare: un generale dei paracadutisti russo, Lebed, che  ha saputo fermarne due senza combattere… Lo hanno assassinato più  tardi…Per la cronaca, le sue guardie del corpo facevano Aïkido… Allora:  vivere da guerriero?
Per cominciare, un guerriero non è  necessariamente un militare o un soldato. Non si tratta neanche di  mascherarsi da samurai o di dormire con la spada al fianco… Per me, che  non essendo la reincarnazione di Morihei Ueshiba, non posso parlare a  suo nome, si tratta di una via, di un processo di evoluzione dell’uomo  verso un stadio più elevato dell’essere. La via del guerriero è una via  pericolosa, non perché si rischi di morire falciato da una raffica di  proiettili in un gesto eroico immortalato dai fotografi  ma, semplicemente, perché le sconfitte spirituali sono numerose e il  ciglio della strada costellato di rinunciatari…Questa via, come tutte le  altre, è segnata da grandi tappe, che ora vorrei cercare di descrivere.
La fortezza (paranoia 1)
La quinta colonna (paranoia 2)
La pancia all’aria…
E ritmato dalla sindrome del deserto dei Tartari.
La  fortezza corrisponde ad un periodo di costruzione fisica. Bisogna  strutturare il corpo attraverso un allenamento rigoroso, accumulare le  tecniche. Fondamenta profonde, mura spesse e solide, niente è lasciato  al caso, ogni dettaglio è elaborato in funzione del suo valore difensivo  e strategico. Occhio ai castelli di carte o di sabbia! E’, credo, il  senso dell’insegnamento di Saito Sensei: costruire su delle basi  stabili, sane e forti. Parecchi allievi di Morihei Ueshiba l’hanno  abbandonato, come Gozo Shioda del Yoshinkan, perché non volevano (o non  potevano) interessarsi ad altre cose. Può essere una tentazione fare  riferimento ad un capolavoro dell’arte militare così accuratamente  elaborato, come, ad esempio, il Castello di Salses: pianificazione  totale contro «l’altro»! E’ evidente che questa della fortificazione  non è, e non può essere, una tappa di liberazione ma che si costruisce  contro il mondo attraverso la presa di coscienza del dualismo:  «Io/mondo». L’avversario, quello che è di fronte, mi prende, mi attacca…  Io mi difendo… Non c’è modo di sfuggire a questa realtà. Questo è  caratteristico della paranoia nella sua forma benigna: il mondo è  aggressione. A questo riguardo, ci sono anche tensioni indotte dai  discorsi ricorrenti sull’armonia che non quadrano, e questo è normale  con delle tecniche che funzionano evidentemente in reazione ad un  attacco, un avversario. Non potrebbe essere altrimenti. Pretendere il  contrario è mentire a se stessi, e non c’è niente di più idiota, né di  più pericoloso, per la propria crescita. Il problema si accentua per le  persone fisicamente «dotate» che possono essere portate a credere di  avere già raggiunto la padronanza, mentre sono solo al maneggio delle  armi. Questo aspetto fisico della pratica è affiancato dal primo giorno  da un lavoro sulle emozioni sul quale ci si sofferma meno perché  semplicemente meno visibile, meno evidente. La relazione fisica con  l’altro, o con la Terra, scatena automaticamente delle emozioni potenti e  molto profonde di paura, d’angoscia, d’aggressività, ecc., che la  nostra cultura tende ad occultare, o peggio, senza dubbio, a considerare  come negative. Il semplice fatto di essere presi e di non potersi  liberare è ansiogeno, altrimenti chiunque, senza  un’adeguata preparazione, potrebbe rimanere rilassato senza essere  turbato dall'aggressione. E’ la stessa cosa per le cadute… La Terra fa  paura (e talvolta male!). Tuttavia, un guerriero senza paura è un  guerriero morto! Non c’è niente di più inutile, salvo che per riempire i  cimiteri militari… La paura, l’aggressività, ecc., sono emozioni  indispensabili alla vita. La questione, ancora una volta, è di imparare a  riconoscerle, poi a lavorarci con e non contro. La paura che vi spinge a  togliervi dalla traiettoria di un camion è buona consigliera. Quella  che vi porta a chiudere gli occhi per non vederlo è assassina. Nel primo  caso, c’è  comunicazione con l’emozione, nell'altro invasione, eccesso,  perdita di controllo e, soprattutto, di libertà. Ma in fondo, si tratta  della stessa emozione. Questo doppio lavoro, fisico ed emozionale, è la  natura stessa della fortezza. Se tutto va per il meglio, arriva il  giorno in cui ci si pone la domanda : «Tutto questo per cosa?».  Effettivamente, credo che sia irrisorio il numero di quelli che hanno  dovuto utilizzare le tecniche di Aïkido nella loro vita quotidiana. (Non  dispongo di nessuna statistica.) E’ chiaro che rinchiudersi non nuoce  che a se stessi e che nessun nemico assetato di sangue muggisce nelle  nostre campagne… E’ la sindrome del Deserto dei Tartari! "La mia bella fortezza è un monumento assurdo eretto contro il vuoto?" Il  dubbio si insinua, tutto questo non sarebbe dunque servito a niente?  Queste belle mura di cui sono così fiero sono forse inutili? La mia  bella fortezza un monumento assurdo eretto contro il vuoto?
Questo interrogarsi ne spinge molti  all’abbandono… Alcuni si chiudono risolutamente in ottuse certezze,  altri, che il dubbio ha minato più profondamente, si mettono alla  ricerca di un nuovo nemico… Se niente viene dall’esterno, bisogna almeno  che ci sia un nemico all’interno della mia bella fortezza, una quinta  colonna, un nemico ben più insidioso, pericoloso, traditore invisibile!
E’ conosciuto da tutti come «Ego», la  bestia malvagia… Ed ecco il nostro castellano partito per la caccia  all’ego con lo stesso entusiasmo che metteva a vegliare davanti ai  gradini dell’impero… Il marrano è ben nascosto, la fortezza trabocca di  nascondigli, botole, cantine, sotterranei, passaggi segreti, zone buie…  Là, niente cavalleria rutilante, suoni di trombe, vani sogni di gloria.  No! Bisogna strisciare silenziosamente nel freddo fango di oscure  gallerie… E’ una ricerca lunga e faticosa che mette alla prova la  pazienza e che corrisponde ad una forma più avanzata di paranoia, il  nemico non è più soltanto all'esterno, è ovunque mondo/me, tutto è  nemico, questa pressione è enorme… E’ possibile verificare tutti i  granelli di polvere, ma nessuno nasconde l’ego… Col tempo, la sindrome  del deserto dei Tartari ritorna prepotente… Nessun nemico si è  mai manifestato dall'esterno, nessun nemico si manifesta all'interno… E  il dubbio si insinua, più terribile, più devastante. Il dubbio è come un  enigma all'incrocio delle strade… Non posso essermi sbagliato fino a  questo punto… Devo continuare ad ogni costo. L’attaccamento a quello che  rappresenta la fortezza, il lavoro compiuto, il cammino percorso  durante la caccia all'ego, è una trappola temibile. Il pericolo è di  rinchiudersi e per sempre, diventando allo stesso tempo carceriere e  prigioniero. Dall'altra parte si apre la via  nichilista dell’abbandono… Ma se veramente tutto questo non servisse a  niente, non portasse a niente? Se non ci fosse un nemico? Se il mondo  non fosse contro di me? Se non ci fosse neanche un nemico dentro di me?  Se l’ego non fosse altro che una modalità d’espressione dell’essere,  un’altra forma di emozione utile o nefasta secondo l’uso che ne si fa ?  Se l’ego si fosse trasformato in nemico solo a causa di proiezioni  mentali fantasmatiche? E’ a quel punto che risuona una formidabile  risata… Abbattiamo le mura!
Andiamo ad approfittare del sole  finalmente ricomparso, un bicchiere di vino in mano e la pancia  all'aria…, in un mondo rasserenato. Il ciclo del guerriero è  compiuto. Per evitare di doverci ritornare, mi sembra utile precisare  che questo processo non è lineare e che queste «tappe» non sono  veramente reali. La costruzione della fortezza e la caccia all'ego non  si escludono a vicenda ma anzi più spesso si ingarbugliano. Ciò non  toglie che il cammino si faccia immergendosi nel mondo e la sua  attività, e non negando la sua esistenza o ritirandosene.  Non dimentichiamo neppure che l’ego è stato lungamente rinforzato prima  che una risata disperdesse l’ombra delle muraglie; ciò spiega i  comportamenti agli antipodi «dell’armonia» che tutti possono constatare  nei praticanti più avanzati e, per questo, più esposti alle trappole  della Via. Se un giorno ci ritroveremo «pancia all'aria», sarà grazie  all'esperienza, e non ai discorsi.
Si  tratta della mia comprensione dell'Aikido dopo quarant'anni di  pratica. Ciò non vuol dire che domani non rimpiangerò quello che mi sono  lasciato scappare qui. Se questa visione dell'Aikido vi interessa, mi  permetto di consigliarvi un piccolo libro: Shambhala di Chögyam Trungpa  (Ubaldini Editore), a mio avviso la più interessante prospettiva sul  guerriero spirituale nella società moderna. Direi il migliore libro  d'Aikido che io conosca.
Stephan Benedetti

versione originale francese in PDF: http://idam.altervista.org/articoli/StefAikimartialFr.pdf



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