Camminando accanto a Sensei

Aikido Kashin Roma
D.T. Roberto Martucci, 7° Dan Uisp-Do - 6° Dan Aikikai Tokyo
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Camminando accanto a Sensei

Aikido Roma Dojo Kashin
Pubblicato da Kashinkai in Letture · 5 Gennaio 2022
Tags: aikidomartucciendo
Gli allievi del Dojo Kashin, in occasione del conferimento del 7° Dan al proprio Maestro Roberto Martucci, hanno voluto esprimergli tutto il proprio riconoscimento per il suo Insegnamento con un compendio delle tappe più significative della sua vita sul tatami, elaborato attraverso le voci di coloro che gli sono stati vicino nel corso della sua quasi cinquantennale carriera di aikidoka.
Seguendo la tradizione della nostra pratica, la ‘via dell’unione delle energie’, abbiamo scelto di fondere le nostre persone in una sola persona, le nostre sensazioni in un’unica sensazione, le nostre voci in una sola voce, la quale vuole raccogliere in sé l’essenza dell’insegnamento del Maestro. Le testimonianze dei momenti narrati, dagli esordi sul tappeto agli eventi più recenti, sono frutto quindi dell’esperienza accumulata dentro e fuori dal Dojo da molti allievi sia del presente che del passato, i quali, nel corso di tutti questi anni, hanno avuto l’onore di condividere parte del proprio percorso sul tappeto del Kashin. Ci ha uniti il medesimo sentimento di gioia e di profonda gratitudine per quanto ci è stato insegnato.
 
Chi scrive non è nessuno, in particolare, degli allievi del Dojo Kashin: sono tutti loro.


 Roberto Martucci  (picture by courtesy of Klaus Messlinger)

Nel 1982 l’Italia era appena diventata campione del mondo e per noi ragazzini il calcio era ovunque. L’Aikido invece era per gli amanti delle guerre silenziose, senza schiavi né re.
Ma dentro il grande raccordo anulare la strada era fatta solo di re o di schiavi e così mio padre mi aveva mandato in una palestra di arti marziali a farmi le ossa.
 
Lì incontrai un ragazzo poco più grande, con un sorriso contagioso, gli occhi color cielo e i capelli tanto lunghi da schiaffeggiargli il volto mentre volteggiava sul tappeto. Roberto era cresciuto in un quartiere più centrale del mio, ma anche più malfamato, eppure da adolescente, al posto di tirare cazzotti, aveva preso la strada delle arti marziali e in pochi anni aveva aperto un corso di Aikido.
 
Tutto era cominciato a quattordici anni: finita una lezione del corso di Judo, che non frequentava poi così volentieri, aveva spiato nella porta accanto ed era stato folgorato dalle movenze di una ragazza che faceva volare omoni da cento chili senza quasi toccarli. Aveva deciso che voleva farla anche lui quella cosa. La ragazza era il Maestro Elena Gabrielli e quella cosa, neanche a dirlo, l’Aikido.

Roberto incarnava un’armonia difficile da ignorare, anche per un ragazzino con il pallone nella testa e così, a dispetto di mio padre che pensava stessi diventando Steven Seagal, entrai a far parte di quel gruppo di ragazzi un po’ svitati e un po’ visionari, che aveva capito di avere qualcosa di prezioso tra le mani.


Roberto Martucci (1980)

In quegli anni l’Aikido, soprattutto nell’ambito del Coni, era ancora un affare di nicchia e chi avviava un corso poteva considerarsi a buon diritto un pioniere: per affinare la tecnica, l’unico modo era rubare con gli occhi dai Maestri che visitavano la capitale, come Kawamukai e Tamura. Ma questi, come tradizione voleva, avrebbero aperto con parsimonia il forziere dei segreti, lasciando che il tempo li facesse scivolare giù poco a poco.
 
Roberto aveva anche un’altra passione, quella per il cinema, tanto che il montaggio dei film divenne prestissimo il suo mestiere. Ma il vero amore era e rimase l’Aikido: non smetteva mai di praticare, nemmeno la domenica, quando spesso trascinava i fedelissimi del Dojo nei parchi e nei cortili, per sperimentare insieme in libertà.
Io mi destreggiavo come potevo tra quelle sessioni d’improvvisazione jazz e lo stadio, anche se presto avrei fatto la mia scelta. Per me, in fondo, uno yokomenuchi ben portato era come un tiro a giro sotto l’incrocio e il cerchio magico tra uke e tori assomigliava tanto alla sfera che volava per venti metri e finiva per gonfiare la rete tra palo e portiere: azione e reazione, yin e yang, tutta la vita che scorreva tra un pugno e una carezza.
 
Sensei un calcio a un pallone non l’aveva mai dato: semplicemente non gli interessava. Il confronto per lui era solo sul tappeto, un luogo dove poter aprirsi, consegnarsi all’altro, accettarlo, farsi guidare, farsi sorprendere; poi controllarlo, restituirgli gioia e paura, condurlo e di nuovo aprirsi. Una spirale senza fine, l’enciclopedia umana che scrivevamo giorno dopo giorno, ricercandoci l’uno nell’altro, per tentare di imparare noi stessi. Cosa stava nascendo al centro della danza, qual era il motore che faceva girare tutto, che ci univa nonostante le differenze, questo era presto per saperlo.
 
Venimmo a conoscenza di un Maestro parigino che aveva trascorso diversi anni in Giappone e che possedeva uno stile molto personale, ‘avveniristico’ secondo alcuni. Avrebbe tenuto un seminario a Follonica. Roberto volle andare a vederlo e alcuni di noi lo accompagnarono. Il Maestro francese si presentò sul tappeto con un’eleganza rinascimentale, geometrie cartesiane e una didattica cristallina: allievo diretto del ‘genio dell’Aikido’, Seigo Yamaguchi, aveva le chiavi del forziere e la voglia di farci vedere un po’ della sua luce. Era il 1993 e il suo nome era Christian Tissier.


Christian Tissier

Per seguirlo ci affiliammo alla UISP, associazione di cui Tissier Sensei era referente tecnico. In Italia il movimento stava crescendo a vista d’occhio, così come il nostro Dojo. Anche Roberto fece la sua parte, contribuendo, insieme ad altri insegnanti regionali, alla formazione del settore Aikido UISP-DO nel Lazio, promuovendo la diffusione della disciplina ed esercitando il ruolo di membro della Commissione Tecnica Nazionale.
 
Passarono dieci, dodici anni. Per Roberto e anche per noi ‘anziani’, l’Aikido si era finalmente liberato di qualche segreto, diventando più accessibile, mentre il Dojo era più vivo che mai e non smetteva di accogliere entusiasti neofiti. Eppure Sensei, che era sempre stato animato dalla ricerca, sentiva che c’era ancora molto da scoprire. Per lui l’Aikido era da ricercarsi nel mantra dei corpi che entrano in connessione, nella danza che aveva animato le nostre lezioni da tempo immemore, nel dialogo d’amore di cui parlava O Sensei. Quell’equilibrio perfetto tra dare e avere: trascendere lo scontro, trascendere anche la competizione, ricercare l’armonia tra le energie di cui siamo portatori. Ai-Ki-Do: ‘la strada che si percorre fondendo le energie’.
 
Era il 2005 quando due cinture nere del nord Europa, di passaggio a Roma, vennero in visita nel nostro Dojo. Non ricordo i loro nomi, ma ricordo che si presentarono come studenti di uno Shihan giapponese, anche lui, come Tissier Sensei, allievo diretto di Seigo Yamaguchi. Ricordo anche che, quando si esibirono, fecero il silenzio attorno. I due yudansha sembravano animati da dentro; le linee delle tecniche, che eravamo abituati a vedere come cerchi giotteschi, tondi, perfetti, ma pur sempre con un inizio e una fine, si erano trasformate in spirali interminabili, morbide, flessuose, oserei dire delicate. Chiamarono quello che stavano facendo Kimusubi, letteralmente ‘connessione di energie’.  Era l’Aikido che insegnava il loro Maestro, Endo Seishiro. In quel momento gli occhi di Roberto brillarono di nuovo: quanto stava cercando da tempo, aveva finalmente una forma e un nome.
 
Sensei passò alcuni anni diviso tra l’eccitazione per la scoperta e il timore di dare seguito a una felice intuizione, di aprire una porta rimasta a lungo serrata, in una parola di ispirarsi al Maestro giapponese. Nel frattempo, trovò in rete alcuni video di un uchi deshi di Endo Seishiro Sensei, il Maestro tedesco Dirk Müller, il cui stile lo impressionò per eleganza e gentilezza.  Decise così di provare a contattarlo, nella speranza che potesse aiutarlo a crescere in quel modo di intendere la pratica.
 
Dirk Müller Sensei si rivelò proprio per come appariva in video, cortese ed estremamente generoso: non solo accettò la richiesta di Roberto infatti, ma andò oltre, dandogli un appuntamento conoscitivo proprio in occasione del seminario successivo di Endo Sensei, che si sarebbe tenuto a Berlino di lì a poco.
 
La notizia fu accolta con entusiasmo, ma anche con apprensione da Roberto, che era da sempre stato allergico agli aerei. L’occasione, d’altronde, non si poteva mancare, così Sensei riuscì a mettere da parte ogni paura e ricevette finalmente il battesimo dell’aria. Insieme con Giuseppe, la sua ombra fedele, ebbi l’onore di accompagnarlo e di assistere a quanto accadde in quel primo incontro tra lui e lo Shihan.

Mentre camminava a bordo tatami, Endo Sensei aveva una luce in volto che negava ogni ruga, a dispetto dei suoi sessantadue anni. Ricordo la severità nel suo sguardo che non smise fino a quando non sentì scendere attorno il silenzio più totale. Stette lì in attesa, per un tempo lunghissimo, imperscrutabile. Gli bastò salire sul tappeto ed omaggiare il Kamiza per mostrare la sua vera statura. Endo Seishiro era una cattedrale. Una cattedrale con le movenze di un felino, giacché nessuno dei suoi movimenti, del busto, delle braccia, delle gambe o dei piedi, sembrava generare alcun rumore. Gli occhi erano costantemente vigili e il suo corpo sapeva muoversi d’improvviso, come quello di un ragazzo.

A un punto della lezione, con un largo sorriso, si rivolse a Roberto invitandolo ad afferrargli il polso e ad usare forza con entrambe le braccia. Lui tentò con una certa riverenza, quasi con timidezza; poi, incalzato dal Maestro, diede fondo a tutte le sue energie. Non accadde nulla, o almeno così parve. Fino a quando lo Shihan non chiese: "Questa forza va bene per te?". L’istante successivo Roberto era a terra, a tre metri da lui. Il braccio di Endo Sensei era rimasto disteso, le sue spalle basse, il volto sorridente e ironicamente stupito. Roberto invece era attonito: quell’energia sconosciuta, tramandata per almeno tre generazioni, gli era arrivata addosso senza preavviso. E mentre si rialzava, a stento, sapeva già che qualcosa era cambiato per sempre: quel colpo, qualunque fosse la sua origine, era stato il suo secondo battesimo da aikidoka.


Endo Seishiro

Endo Sensei invitò Roberto al seminario successivo e lui non se lo fece ripetere. Quello Shihan non  gli stava solo donando una nuova vita sul tappeto, ma stava dissolvendo in lui timori radicati, come prendere l’aereo o esprimersi in una lingua straniera. Roberto visse la seconda esperienza con il Maestro in una condizione estatica, ormai scevra dalla meraviglia e piena invece della consapevolezza di quale sarebbe stata la sua nuova strada: il 'Kimusubi' aveva intaccato la scorza esterna del suo corpo, confermandogli che sotto c’era una linfa con potenzialità ignote. Andavano solo scoperte. Per una mente famelica come la sua, era un punto di non ritorno. Al termine dell'ultima lezione, senza curarsi dell’appoggio da interprete che fino ad allora gli avevo dato, avvicinò Endo Seishiro Sensei e gli espresse la volontà di seguirlo.
 
Sbilanciarsi è la capacità di abbandonare appoggi saldi e conosciuti, cercandone di nuovi. È rischioso, perché si può cadere. Ma è l’unico modo per camminare. Roberto l’aveva capito bene e così contattò Christian Tissier, suo Shihan di riferimento, spiegandogli cosa stava maturando in lui. Il Maestro francese comprese e lo accompagnò con signorilità verso il percorso che aveva deciso di intraprendere.

Com’era prevedibile, il nostro Dojo visse una profonda crisi: la pratica si era spostata diversi centimetri sotto l’epidermide e molti dei praticanti fecero fatica a comprenderla. Alcuni, soprattutto tra i più anziani, rifiutarono di mettere in discussione le verità acquisite nel tempo; altri rinunciarono a confrontarsi con quello che non poteva non diventare un lavoro d’introspezione. Di contro, i giovani che venivano iniziati alla pratica ebbero il vantaggio di poter conservare la mente vergine da ogni pur remoto desiderio di agonismo, approcciando l’Aikido come mera arte dell’incontro: ciò che Roberto aveva sempre saputo dovesse essere.

Grazie al continuo sostegno del suo 'senpai' Dirk Müller, con il quale sarebbe nata un’intensa amicizia, e all’aggiunto supporto di un altro futuro sincero amico, il Maestro svedese Jan Nevelius, allievo sia di Tissier Sensei che di Endo Sensei, Roberto trovò il coraggio di chiedere al Maestro giapponese di onorare il nostro Dojo facendoci visita a Roma. Endo Sensei declinò l’offerta con un cortese rifiuto anche se sembrò lasciare aperto un piccolo spiraglio. “Non verrà?” chiesi a Roberto Sensei quando lo vidi comparire dopo essersi congedato dal proprio Maestro. “Chissà”, mi rispose, “forse un giorno”.

Quel giorno, nell’autunno del 2012, arrivò. E trasformò il quartiere che da bambino pensavo fosse dimenticato dal mondo nel cuore pulsante dell’Aikido internazionale, accogliendo praticanti da mezza Europa. Mentre la bandiera nazionale sventolava orgogliosa accanto a quella nipponica, si poteva sentire parlare dal francese all’inglese, dallo spagnolo al tedesco, dallo svedese al polacco, al russo, al giapponese, finanche il sudamericano.

Da quell’anno, Endo Sensei continuò a farci visita annualmente, offrendo la possibilità ai praticanti di tutta Italia di incontrare una testimonianza diretta del messaggio del Fondatore. La sua costante presenza ha attirato l’interesse di altri Maestri e Shihan internazionali, i quali hanno iniziato a condividere con noi il proprio cammino, facendoci visita anno dopo anno. Al contempo, Roberto Sensei ha cominciato a mettere la propria esperienza quarantennale al servizio della comunità aikidoistica europea, tenendo seminari anche fuori dai confini nazionali.
 
La pandemia degli ultimi anni ha di fatto rallentato l’attività di Roberto Sensei e ha sospeso le visite di Endo Seishiro Sensei e degli altri Maestri. In questo difficile periodo, il nostro Dojo ha anche dovuto trovare un nuovo assetto, spostandosi dalla sua sede storica, che è stata destinata dai proprietari ad altro uso. Non è certo la prima volta che accade. Cambiano gli spazi e mutano gli eventi; alcuni se ne vanno e altri arrivano, come è normale che sia. È lo spirito che non cambia, è la voglia di imparare, da una parte, e quella di insegnare, dall’altra, che rimangono caparbiamente le stesse.
 
Oggi praticare con Roberto Sensei vuol dire interpellare il proprio corpo interno e donarlo; cercare il bene e il male dentro per spingerli fuori, alla ricerca di un tocco o di uno sguardo che provino a fare chiarezza. Alcuni giovani e alcuni tra i visitatori di altre scuole, a volte, si interrogano e ci interrogano sul concetto di marzialità, a loro dire inespressa. ‘Dov’è andata a finire?’ sembrano chiederci. Per alcuni la risposta può essere: in un secolo ormai passato; per altri è la stessa che Roberto trovò a Berlino, con il naso sul tappeto, tre metri lontano da Endo Sensei. Le forze messe in campo dal 'Kimusubi' non tardano a svelarsi a chi vuole liquidarle con sufficienza: i suoi movimenti contengono l’essenza della marzialità, che non viene negata, ma trasfigurata; e forse un giorno trascesa. In favore di cosa? Del rispetto dell’altro, della ricerca di connessione con chi si ha di fronte e con il proprio sé, dentro e fuori dal dojo, con il prossimo, con la natura che ci è madre, con il regalo della vita. Come Roberto Sensei non si stanca di ripetere, l’Aikido non è il fine: è il mezzo. È l’arte marziale che si fa sentiero di conoscenza e di pace, la grande rivoluzione di O Sensei. Una strada che molti Maestri percorrono, ognuno con il proprio cuore e con il proprio tempo. Nessuno è arrivato in fondo, perché il fondo non c’è. Sensei lo sa bene e, nonostante i suoi sessantun anni, non smette di avere fame di imparare e di farsi guidare dal messaggio di Ueshiba e dagli insegnamenti del suo Maestro Endo Seishiro.

Questa sua instancabile ricerca, unitamente a ciò che ha dato di sé all'Aikido in questi anni, sono tornati a Roberto Martucci Sensei sotto forma del riconoscimento, da parte di Endo Sensei, del 5° e del 6° Dan Aikikai di Tokyo. Più recentemente, gli è invece stato conferito il 7° Dan italiano da parte del Responsabile Nazionale UISP-DO.


Endo Seishiro - Roberto Martucci (2014)

Come mi successe dopo il suo incontro con l’Aikido di Tissier Sensei e poi con quello di Endo Sensei, ogni tanto mi ritrovo a fissarlo e a chiedermi: “È cambiato? È sempre lui? È ancora il mio Maestro?” La risposta, negli anni, si ripete: sì, è sempre lui, è rimasto quel ragazzo desideroso con gli occhi color cielo e sa sorridermi allo stesso modo in cui sorride a uno Shihan e allo stesso modo in cui sorride a un principiante che lo incontra per la prima volta sul tappeto. È un uomo che continua a lottare contro le avversità che la vita gli mette di fronte, ma oggi ha qualche catena in meno. Soprattutto è un uomo che continua a desiderare con ardore che il fuoco dell’Aikido gli passi attraverso e che il messaggio di Ueshiba possa raggiungere sempre più persone.


Gli allievi del Dojo Kashin


Foto di :
Klaus Messlinger
Susanna Franchetti



               
               


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