Do e Jutsu
C'è un modo di illustrare l'Arte Marziale paragonandola ad una montagna che presenta un lato roccioso, impervio e l'altro collinare, dolce. Un lato in ombra, l'altro illuminato dal sole. Prima di scalarla dobbiamo osservarla e decidere come e dove salire, se per la via più diretta ma ripida o per quella più dolce ma più lunga. Per assumere la decisione dobbiamo quindi comprendere con chiarezza quale vuole essere il nostro obiettivo. Vogliamo concentrarci su quelle che sono le tecniche più opportune e veloci che ci permettano di salire o muoverci tra la rigogliosa natura per conoscerne colori, suoni, profumi osservando i panorami che man mano che ci si presentano ?

Ecco, il primo caso possiamo paragonarlo al Jutsu (metodo, tecnica) e attiene al mero tecnicismo, al tirocinio, il secondo invece al Do (via, cammino) percorso completo, esperienza di realtà, viaggio nel qui ed ora, laddove è il percorso la vera meta.

Quando i Samurai erano una classe militare le loro arti marziali perseguivano fini pratici utili ad attaccare e/o difendersi.
Con l'era Edo, nota anche come era Tokugawa (1603-1868) il Giappone divenne un paese più "pacifico" e i Samurai persero gradualmente la loro funzione militare divenendo dei semplici rōnin che spesso si abbandonavano a saccheggi e barbarie.
In questo contesto molti maestri cercarono di non far scomparire le loro arti millenarie trasformandole in qualcosa di diverso, di più utile alla mente e allo spirito.
Fu così che O' Sensei Morihei Ueshiba creò l'Aiki-Do dalla micidiale Aiki-Jutsu, il M° Kano il Judo dal più pericoloso Ju-Jutsu.
Lo Iai-Jutsu si trasformò in Iai-Do, il Ken-Jutsu in Ken-Do.
Non essendoci più nessuno da abbattere a dal quale difendersi, si utilizzarono quindi quei linguaggi per volgere lo sguardo internamente ed affrontare ognuno il proprio "avversario", i propri limiti, le propie paure, il proprio ego con totale consapevolezza.